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A casa del diavolo - Primo Capitolo

La strada è un campionario di curve. A gomito, tornanti. Strozzate.Tutte in salita, senza guardrail e affacciate su strapiombi minacciosi. Ogni duecento metri incontro mazzi di fiori disposti al lato della carreggiata, qualcuno è anche corredato da fotografia con cornice. Il navigatore del mio suv dice che mancano ancora diciotto chilometri e io penso che, altri cinque minuti così, e come minimo do di stomaco. Mi aspetto che da un momento all’altro arrivi qualcuno a svegliarmi da un brutto sogno. Giulio Terenzi, ci sei cascato in pieno! Sorridi, sei su Scherzi a parte! Ma a salvarmi non verrà nessuno.
Otto giorni fa
– Terenzi! Venga, venga, si accomodi.
– Grazie, dottore.
L’ufficio di Paolantoni, il responsabile delle risorse umane di area, è il più elegante della nostra sede di Ascoli. Ampie pareti vetrate su due lati, parquet di noce d’epoca ma lucidato di recente, mobili di design rivestiti in pelle bordeaux con piani di cristallo satinato.
– Allora, come si è trovato con Bracciani? Fare il vice direttore in una filiale così importante è stato istruttivo?
– Sì, dottore… Ho imparato molto e sono pronto a mettere a frutto questa preziosa esperienza.
Quel vecchio bastardo di Bracciani! Mi ha relegato in ufficio per sei mesi. Niente produzione, niente sviluppo. Mi ha impedito di trattare con i clienti migliori, quelli che contano, tanto che a malapena ho avuto l’occasione di conoscerli, e solo perché sono stato io a presentarmi. Non è nemmeno laureato… un ragioniere di sessant’anni che a stento riesce ad aprire una mail. Io ho un master in economia alla Luiss, laureato con 110 e lode, e mi è toccato di fargli da schiavetto, subendo anche il suo paternalismo e le tirate sul modo di lavorare “alla vecchia maniera”. Ma finalmente è finita. Ho mangiato “pane e cicoria” come diceva quel politico in campagna elettorale, ma ho conservato il sorriso sulle labbra, e adesso sono pronto per il grande salto. Questa convocazione era nell’aria, mi era stata preannunciata da un amico in sede centrale. – Si dice che stanno per proporti la reggenza di una filiale. Potrebbe essere una cosa importante.

Basta, non ce la faccio più. Rischio davvero di vomitarmi addosso la colazione. Mi fermo a un lato della strada, su una specie di piazzola che, manco a dirlo, è proprio al margine di una curva a gomito. Scendo e faccio qualche passo su un tappeto di brecciolina che qualcuno avrà scaricato per coprire la merda di pecora. L’aria è frizzante, ci saranno dodici gradi e siamo al tre di giugno… mi toccherà dormire con il piumone.
Mi guardo intorno e non vedo altro che montagne. Il cielo è schifosamente limpido, attraversato da un paio di spumose scie di aerei che sembrano pietrificate sull’immenso desktop celeste. C’è un silenzio irritante. Mi concentro e riesco a percepire un unico rumore in lontananza, una specie di scampanellìo di vacche. Sono circondato da pendii verde smeraldo che a una certa altezza si trasformano bruscamente in costoni di roccia grigio-marrone. C’è persino qualche chiazza bianca in cima, deve essere il ghiacciaio del Gran Sasso, l’unico in tutta la catena degli Appennini, mi pare di ricordare.
Ma che cazzo ci faccio qui?

– Bene, bene, Terenzi… L’ho convocata perché lei è un giovane di ottime capacità e l’azienda pensa di darle l’opportunità di metterle a frutto, proponendole una reggenza.
– Dottore, le sono grato, le confesso che, in effetti, me l’aspettavo e sono pronto a impegnarmi in prima persona. La mia aspirazione è lavorare per obiettivi, misurarmi sul campo per dare prova di ciò che valgo. Le assicuro che la fiducia che mi viene accordata non sarà mal riposta.
– Certo, certo… Come lei sa, la nostra politica aziendale è quella di formare i dipendenti a trecentosessanta gradi. Ci sta a cuore che una crescita professionale tecnica, di alto profilo, sia sempre accompagnata a un percorso umano incentrato sulla gestione dei rapporti interpersonali. Vede un “giusto approccio” nelle relazioni con i colleghi è fondamentale per chi ambisce ad un ruolo direttivo… per chi un giorno si troverà nella situazione di dover ottimizzare le risorse e organizzare i team lavorativi.
Un giorno l’ha detto con un tono che non mi piace.
– Be’, dottore, io ho frequentato diversi corsi sull’assertività, la gestione dei conflitti nei gruppi di lavoro, la valutazione dei rischi psicosociali correlati all’ambito lavorativo e…
– Sì, sì, certo, conosco bene il suo curriculum. Impeccabile, non c’è che dire. Lei si è scopato la signora Battiston della filiale di San Benedetto, vero?
– Cosa? Ma che dice… io, non…
– Non faccia l’indiano, Terenzi! E non ci provi nemmeno a negare. Tutto quello che accade nell’area passa attraverso la mia scrivania. Non sono solo il capo del personale, sono anche una specie di confessore.
– Scusi, dottore, ma non vedo come le questioni personali possano…
– Stia in silenzio perdìo e mi ascolti! Probabilmente, non sa che quando io e Magda Battiston abbiamo iniziato insieme, in questa banca, lei era ancora attaccato alle sottane di sua mamma che le puliva il naso. Magda è sposata da venticinque anni, ha una figlia all’università e un altro che sta per diplomarsi. È una donna ancora molto bella, lo so. E lo era ancora di più venti anni fa, quando lavoravamo insieme. Crede che io non la desiderassi allora? Certo che sì. Come tanti altri colleghi che hanno avuto a che fare con lei… Ma l’abbiamo rispettata. Abbiamo rispettato il suo matrimonio, la sua dignità. Poi, improvvisamente, arriva lei. Trentenne, laureato col massimo dei voti. Fisico da atleta e i vestiti firmati e tanta boria addosso, molta presunzione che le fa credere di potersi ritenere superiore a tutti noi. I dinosauri, è così che ci definiva parlando con Magda, vero? Lo sa che dopo la vostra breve storia quella donna è andata in crisi? Si era innamorata… Quando lei l’ha scaricata, dopo essersela portata a letto un paio di volte, la sua vita è implosa. I rapporti con quel brav’uomo del marito, con i figli… Tutto incrinato, tutto confuso.
– Ma lei… voglio dire, queste sono cose private che io…
– Si sta chiedendo come faccio a sapere? Gliel’ho detto Terenzi, io so tutto. Magda è venuta da me a confidarsi. Qualche giorno fa era seduta proprio sulla poltroncina dove è lei adesso e piangeva disperatamente. Ho dovuto faticare per convincerla a ricomporsi, a recuperare un po’ di dignità. Non sapevo più in che modo consolarla. Ma a lei tutto questo non interessa, vero? Lei, a quanto mi risulta, si rifiuta anche di parlarle… l’ha pure minacciata di raccontare tutto al marito, se avesse continuato a importunarla!
A questo punto sudo freddo. Mi muovo a disagio sulla sedia pensando all’atteggiamento da tenere, e mi chiedo quale sia la fregatura che mi aspetta.
– Comunque, Terenzi, tagliamo corto! Come le dicevo, la convocazione è per offrirle una reggenza.
Paolantoni scrive qualcosa su un post-it, poi lo stacca dal blocchetto e lo sbatte sulla scrivania davanti a me.
– Ecco la sua nuova destinazione. Tra una settimana sostituirà il collega Rinaldi che va in pensione.
Sento il sangue defluire dal volto e la forza scivolarmi via dagli arti.
– No, non è possibile. Io mi rifiuto…
– Terenzi, non ci siamo capiti. Questa non è una proposta, ma una disposizione precisa. Il suo contratto dice che lei non può rifiutare un trasferimento. Certo, può creare qualche fastidio, prendere tempo, rivolgersi al sindacato… Ma la metta così: accettando subito avrà la possibilità di espiare. Di liberarsi della sua spocchia, delle sue manie di protagonismo e del suo completo sprezzo della dignità dei colleghi. Righi dritto e, prima o poi, l’azienda potrà decidere di darle un’altra possibilità di carriera. Si ribelli e resterà un impiegato con ruoli secondari per tutta la vita. In questa banca, noi dinosauri, i fighetti come lei li mastichiamo e li risputiamo via senza nessuno sforzo. Non le conviene metterci alla prova.
– Ma questo è un ricatto!
Paolantoni sorride. Si accorge che la mia protesta è debole, che in realtà sto ancora riflettendo sul da farsi.
– Se è inaccettabile, si dimetta. Sarà dura fare a meno della sua preziosa collaborazione, ma cercheremo di andare avanti ugualmente… E lei sarà liberissimo di farsi assumere da qualche altro gruppo bancario. Ah, a proposito… se sta pensando che il suo curriculum sia sufficiente ad aprirle ogni porta, tenga bene a mente che i responsabili delle risorse umane delle banche si conoscono un po’ tutti e prima di assumere qualcuno che si propone alla loro attenzione, prendono informazioni in giro.
Abbasso lo sguardo e leggo di nuovo quello che Paolantoni ha scritto sul post-it. Mi sa tanto che sono fregato.

Alla fine arrivo. Gli ultimi quindici chilometri sono stati i peggiori. Lungo il percorso nemmeno un’anima, fatta eccezione per quell’umanoide dall’età indefinita che ha attraversato la strada al seguito di una ventina di pecore. Non si è nemmeno girato a guardarmi, come se il mio Tiguan blu metallizzato, nuovo di zecca, fosse un corpo estraneo nel contesto di questa cazzo di montagna.
Cavernicoli con le unghie sporche e l’alito avvinazzato o donne sfatte perennemente vestite di nero, che vengono a depositare e prelevare i loro spiccioli dai maledetti libretti di risparmio. Ecco cosa mi aspetta nei prossimi mesi.
Un cartello ai bordi della strada sembra prendersi gioco di me. Mi fermo per leggere meglio: Benvenuti a Castrognano, provincia dell’Aquila, 1328 mt. s.l.m., abitanti 294. La strada, ora, è un rettilineo pianeggiante che conduce a una specie di piccola piazza contornata da fabbricati vecchi, a due piani, ammassati l’uno sull’altro come fossero incastrati fra loro. La desolazione è totale, sembra che il tempo si sia fermato… uno scenario da brivido. Stavolta, però, non è per colpa della temperatura.

© 2015 Romano De Marco - HoshiStudio